Un adulto che osa
educare con coraggio
di Daniela Serafini
Nel nido d’infanzia, la figura dell’adulto è spesso rappresentata come una presenza vigile e attenta, che osserva, documenta e prepara l’ambiente. Ma oggi più che mai, si fa strada una visione più dinamica e coraggiosa, in cui l’adulto non rimane sulla soglia dell’esperienza, ma vi entra con consapevolezza, diventando parte attiva del processo educativo. L’adulto sperimenta, si mette in gioco, si fa compagno autentico di scoperta.
Educare non significa solo contenere e proteggere. Significa anche sfidare, proporre il possibile oltre il previsto, sostenere il bambino mentre esplora ciò che ancora non conosce. Questo implica accettare che l’apprendimento non sia sempre ordinato, silenzioso e privo di rischi. Al contrario, è spesso sporco, rumoroso, imprevedibile e, a volte, anche un po' pericoloso. Sfidare la convenzione non vuol dire abbandonare la sicurezza, ma ridefinirla in termini più evoluti: sicurezza come fiducia, come presenza competente, non come controllo.Un bambino che sale su una roccia, gioca con l’acqua e il fango o sperimenta l’equilibrio su una trave non sta solo giocando: sta crescendo nel corpo, nella mente e nell’autonomia. In questi contesti, l’adulto non impone limiti rigidi, ma accompagna. È lì, vicino al bambino, partecipe del fare, non per dirigere ma per sostenere la conquista. La presenza adulta diventa una base sicura che incoraggia, osserva e, quando necessario, interviene, ma senza sottrarre al bambino l’opportunità di sperimentare.
Perché tutto ciò sia possibile, è fondamentale che l’educatore sviluppi una profonda consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie emozioni. Ogni scelta educativa è influenzata dalla capacità dell’adulto di riconoscere e gestire le proprie vulnerabilità.
Ad esempio, può accadere che un educatore, preoccupato per la sicurezza, tenda a dire “no” a giochi motori potenzialmente rischiosi – come arrampicarsi, salire su un tronco o spingere oggetti pesanti. In questi casi, è importante che il timore non si traduca in un divieto automatico, ma in un atteggiamento protettivo che si fa presenza attenta: l’adulto osserva, prepara un ambiente sicuro e si avvicina, senza impedire l’esperienza. Il bambino ha bisogno di testare i propri limiti, di imparare a cadere e a rialzarsi, perché è così che si costruisce la fiducia in sé.
Oppure, durante un’esplorazione in giardino, un bambino può trovare una cavalletta e volerla osservare da vicino, entusiasta. L’educatore, in quel momento, può trovarsi a fronteggiare una propria difficoltà personale, come la repulsione per gli insetti. Se però riesce a riconoscere quel limite, e anziché fuggire lo attraversa – magari esprimendo con sincerità il proprio disagio, ma senza trasmetterlo al bambino – può trasformare un ostacolo in un’opportunità. Avvicinandosi con il bambino, osservando l’insetto insieme, ponendo domande (“Quante zampe ha?”, “Dove starà andando?”), l’adulto non solo accompagna l’esplorazione, ma mostra che anche le emozioni difficili si possono affrontare con consapevolezza.Questi esempi ci ricordano che l’esperienza del limite è una componente inevitabile e preziosa nella professione educativa. Accettare la propria fragilità e riflettere su di essa permette di migliorare la pratica quotidiana e di relazionarsi in modo più autentico con i bambini. Un educatore che si mette in gioco, che accetta di uscire dalla propria “comfort zone”, incarna un approccio pedagogico dinamico, in cui la crescita professionale si intreccia con l’innovazione educativa.
Educare con coraggio significa scegliere, ogni giorno, di non fermarsi al già noto, ma di aprirsi al possibile.
Significa accogliere il rischio dell’imperfezione e trasformarlo in occasione di crescita condivisa. Perché solo un adulto che osa, che sperimenta e si mette in gioco, può accompagnare davvero i bambini nella meravigliosa avventura di diventare sé stessi.
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