EDUCARE ALLA PARITA'

La parità si impara da piccoli

Quante volte ci siamo trovati davanti a pregiudizi e falsi miti? I giochi da bambina e i giochi da bambino, i vestiti da bambina e i vestiti da bambino. E i colori, le azioni, i comportamenti e persino le parole... tutto nella nostra società viene connotato in questo senso, generando ancora più distanza, ancora più ignoranza! Purtroppo alcuni di questi messaggi sono talmente insiti nella nostra cultura da passare ai bambini e alle bambine fin dalla primissima infanzia anche attraverso le proposte della tv, dei libretti, del nostro stesso linguaggio, delle nostre stesse aspettative.
Sta a noi adulti porre l’attenzione su questo tarando il nostro agire educativo in tal senso.
Educare alla gentilezza, alla pazienza, al rispetto, alla sintonizzazione emotiva, al dare valore alla diversità, alla non violenza, è un dovere delle comunità educanti, dalla famiglia alle istituzioni.
E deve passare soprattutto attraverso l’esempio degli adulti

La cura del linguaggio

Gli educatori oggi dovrebbero compiere un atto di presa di coscienza sull’importanza del linguaggio verbale nella prevenzione alla violenza di genere.
Educare le nuove generazioni è l’unico modo per tentare di sradicare le radici culturali sulle disparità di genere, a partire dalla “pulizia” del nostro linguaggio comune di tutti quei retaggi di discriminazione che da anni ci portiamo dietro e che condizionano involontariamente i nostri modi di pensare.
Il linguaggio diventa così promotore di un cambiamento culturale necessario ed è il primo passo da compiere.
Curare quindi le parole, utilizzare un linguaggio pensato, è un atto di amore non solo nei confronti di quel bambino che in quel momento si sta relazionando con noi, ma anche nei confronti della società stessa.
Quante volte ci siamo sentiti dire frasi pregiudicanti? O quante volte le abbiamo sentite pronunciare dalle nostre labbra quasi in automatico, senza accorgerci?

“donne al volante...”
“Si vabbè ma vestita così se l’è proprio cercata!”
“Comportati da uomo”
“Non fare il maschiaccio”
“Ma guarda che tu sei una signorina!”

E così via …
La consapevolezza è il primo passo per potersi assumere a pieno la responsabilità educativa della comunicazione di genere. Possiamo davvero fare la differenza!

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Cose da maschi/cose da femmine

Nella nostra società siamo quotidianamente bombardati da messaggi, visibili o no, che rimandano ad un idea stereotipata dell’uomo e della donna.
Le pubblicità, i libri stessi per l’infanzia, i modi di dire, il linguaggio comune vanno a condizionare poi anche quello che sarà, per i bambini, il modo di rappresentare se stessi e il mondo che li circonda.
Porre l’attenzione su questi aspetti quando siamo responsabili dell’educazione di un bambino o semplicemente quando ci capita di relazionarci con lui è sicuramente un buon modo per iniziare.
Nel nostro progetto educativo non esiste la differenza fra i giochi da maschio e i giochi da femmina ma vengono messe in luce le predisposizioni personali, gli interessi, i desideri e i bisogni.
Mettersi in ascolto dei bambini, osservarli, e lasciare che siano loro stessi a prendere delle iniziative assecondandoli nelle loro scelte e azioni significa farli crescere sereni con la possibilità di essere realmente se stessi.
Certo ci è capitato spesso di rapportarci con qualcuno che non comprendeva appieno il nostro agire educativo, qualcuno che magari ha chiesto spiegazioni sul perché la proposta del gioco con le bambole ad esempio venisse fatta a tutti i bambini, verbalizzando paure che nascono a loro volta da pregiudizi.
Che male può mai fare un bambino che gioca con una bambola? Forse sta imitando le azioni di chi si prende cura di lui e da grande sarà una persona molto attenta ai bisogni dell’altro... non sarebbe poi tanto male!
E perché mai una bambina non può provare il piacere di rotolarsi nella terra, di giocare con i dinosauri e di indossare una maglietta con scritto “da grande sarò un astronauta” invece che “una principessa”?
Non sempre è facile prendere una posizione ma allo stesso tempo troviamo che sia una nostra responsabilità e un nostro dovere!

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La cultura del no.

Spesso nella nostra società i no vengono connotati in modo esclusivamente negativo.
Mariangela Minati, presidente di Pro.Ges. Trento, nel suo intervento durante il webinar sull’educazione alla non violenza, ha aperto invece ad una riflessione importante che ne suggerisce un significato diverso. Definire dei confini, dire dei no ai bambini fin dalla prima infanzia non solo restituisce un senso di sicurezza nel poter crescere in una cornice pensata per loro e a loro misura, ma dà anche la possibilità di iniziare fin da subito ad elaborare piccole frustrazioni, sostenuti e accompagnati dalla mediazione dell’adulto di riferimento. Un bambino che impara a riconoscere e canalizzare le proprie emozioni di fronte a un no, diventerà a sua volta un adulto in grado di farlo, un adulto che non esplode di fronte al primo rifiuto.
D’altra parte “cultura del no” per noi dovrebbe essere intesa anche come capacità di ogni essere umano di dire di no di fronte a qualcosa che non gli va di fare, libero da giudizi, sensi di colpa, valori culturali stereotipati.
Ecco perché sostenere fin da piccoli le libere scelte, la spontaneità nelle relazioni senza forzature, valorizzare il rispetto per se stessi e per gli altri, per il proprio corpo e per il proprio benessere psicologico può essere un piccolo grande passo in questa importante direzione.

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Consapevoli di ciò che leggiamo

Abbiamo visto purtroppo come anche la letteratura per l’infanzia nasconda moltissimi riferimenti a stereotipi di genere.
Noi vogliamo porre l’attenzione su questo punto non tanto per suggerire la lettura di albi illustrati progettati proprio per combattere le differenze di genere, che andrebbe comunque bene per iniziare! Ma soprattutto ci piacerebbe che tutti coloro che si occupano di educazione si rendessero consapevoli di quello che stanno andando a proporre ai bambini.
Va bene anche la lettura di un libretto dove la mamma è in cucina e il papà è a lavoro ma solo se l’adulto sa cosa sta leggendo e propone anche delle alternative!
Ci piaceva prendere come esempio di buona lettura il libro “A più tardi” di Jeanne Ashbè perché non parla di ruoli, ma racconta la giornata tipo di un bambino e di una bambina che vanno al nido e questa quotidianità è fatta anche della presenza di mamma e papà che in ugual modo si prendono cura di loro accompagnandoli e poi andandoli a riprendere!
Senza azioni stratosferiche, questa normalità ci è sembrata la cosa più paritaria che potevamo raccontare.

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